Cool, Hip, Beat by Francesco Meli

Cool, Hip, Beat by Francesco Meli

autore:Francesco Meli [Meli, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mimesis Edizioni
pubblicato: 2020-12-30T00:00:00+00:00


4.

JOHN LEWIS E IL COOL DEL MODERN JAZZ QUARTET

La musica del Modern Jazz Quartet (MJQ) è generalmente relegata in un limbo in cui si ritiene che né il jazz né la tradizione “classica/colta” possano trovarsi a loro agio. Forse si spiega così la carenza e l’esiguità di studi dedicati al quartetto e al suo fondatore John Lewis. Eccezione particolarmente preziosa è lo studio di Christopher Coady, a tutt’oggi il più importante per equilibrio, profondità di analisi, vastità e accuratezza delle fonti prese in considerazione.

I riferimenti, le parafrasi del suo lavoro sono continui, in particolare per le sollecitazioni che vanno direttamente o per via traverse nella direzione delle tematiche affrontate in questo mio lavoro. Mi hanno portato soprattutto a riflettere sul corto circuito che il cool subisce in riferimento a Lewis e al suo quartetto. Aprendo scenari musicali e culturali inediti sono stato indotto a dedicare molto spazio al ruolo da loro giocato all’interno della storia del jazz, della relativa critica musicale e dei rapporti storici e culturali intercorsi tra bianchi e neri in America.

Entrando subito in medias res, si devono a Nat Hentoff, critico musicale della rivista Down Beat, i primi apprezzamenti del jazz prodotto dal MJQ e in particolare del suo rapporto con la tradizione colta occidentale. Il risultato raggiunto viene dallo stesso Hentoff nel 1955 definito “epitome del jazz moderno”. Con il tempo però sorgono sospetti. John Lewis si trova a dover rispondere a diverse critiche. La sua musica viene accusata di non essere sufficientemente funky, ossia di mancare di forza ritmica, di carattere ed espressività propria, ovvero di essere “insapore”. Di affidarsi troppo, inoltre, alla struttura consolidata della fuga della tradizione occidentale, allontanandosi dal genere musicale noto come jazz.

Lewis si mostra incredulo di fronte a questa osservazione che rifiuta: “ Io voglio essere all’interno della tradizione musicale del jazz. Non desidero essere altrove. Non ho mai avuto dubbi a riguardo.” Difficile, comunque, conciliare la sua posizione con la traiettoria effettivamente intrapresa dalla sua musica. Per cercare di affrontare la questione è utile ricordare che la sua iniziale comparsa sulla scena di New York si può datare al 1946 quando, in sostituzione di Thelonious Monk, ottiene la posizione di pianista e arrangiatore nella big band di Dizzy Gillespie. La sua “Toccata for Trumpet” viene presentata al concerto che nel 1947 Gillespie tiene alla Carnegie Hall di New York. La distanza della composizione dalle note sonorità Afro-Cubane della band di Gillespie attira l’attenzione della critica.

La sua successiva collaborazione, nel ’49 e ’50, con il nonetto di Miles Davis produce quel che sarà definito The Birth of the Cool. Lewis introduce armonie modali e polifonie che possono essere ricondotte all’impressionismo. La cifra stilistica di Lewis continua ad andare nella direzione intrapresa anche quando a partire dal 1952 compone pezzi per il proprio gruppo, denominato Modern Jazz Quartet (MJQ). Quando alcune sue composizioni si rifanno alla forma della fuga – “Vendome” (1952), “Concorde” (1955) e “Versailles” (1957) – comprensibili sono le difficoltà e anche l’imbarazzo della critica nell’attribuire una qualche definizione di genere alla musica prodotta dal quartetto.



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